Un 2014 piovoso e un 2015 caldissimo hanno messo in difficoltà il comparto vitivinicolo del Lazio, con risultati che obbligano a una seria riflessione all'approccio produttivo in vigna e in cantina e non solo.
Dopo un paio d’anni in cui si era riscontrato un miglioramento e una crescita qualitativa generale della produzione della regione, quest’anno i curatori della guida si sono visti costretti a tornare a considerazioni meno positive. Questo a causa sicuramente di un paio di annate poco favorevoli che hanno coinvolto molti dei vini degustati, ma anche per quella che sembra una fragilità complessiva del comparto. Sono infatti in pochi ad accettare l’idea che l’unica strada percorribile dal Lazio vitivinicolo per arrivare al livello che gli compete è quella della ricerca della qualità, il che significa: ridurre drasticamente le rese in certe annate o addirittura di rinunciare a produrle, anche se a monte di questo, sono ben altri i problemi che ostacolano l'affermazione dei vini del Lazio nel panorama vinicolo del nostro Paese.
Anche se la sequenza di 2014 – con le abbondanti piogge e le grandinate che si sono abbattute in zone fondamentali per l’enologia della regione, come nelle terre del cesanese – e del caldissimo 2015 – partito sotto ottimi auspici ma che alla fine ha prodotto bianchi spesso pesanti, senza la freschezza e la giusta acidità in grado di dare lunghezza e piacevolezza – non ha certo "aiutato" i produttori del Lazio, sembra anche vero che la difficoltà di dare una continuità qualitativa alla produzione sia generale, a parte le solite poche eccezioni.
Una criticità che si è evidenziata soprattutto nella zona dei Castelli Romani e nella denominazione Frascati, ma che ha lasciato il segno anche in altre zone, come il Viterbese o la provincia di Latina, dove non possiamo non constatare come i vini bianchi del 2014, che pure da molti non erano stati considerati all’altezza degli anni precedenti, stiano dando più soddisfazioni degli omologhi del 2015. Non a caso sono solo tre i vini bianchi premiati con i Tre Bicchieri, e questo in una regione bianchista per il 70% della produzione complessiva.
E a proposito dei Tre Bicchieri, vanno segnalate due novità, una assoluta e una relativa. La prima riguarda l’Habemus ‘14 dell’azienda San Giovenale di Emanuele Pangrazi, un vino che ha letteralmente inventato un territorio e creato una nuova referenza sulla carta dei vini del Lazio. La seconda è un graditissimo ritorno, che era già stato realizzato con la versione in bianco: il Fiorano Rosso di Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi. La versione 2011 farà tornare in mente i vecchi Fiorano dello zio Alberico, a chi quei vini ha bevuto e amato.
Per quanto riguarda gli altri vini premiati, andiamo dai classici, come il Poggio della Costa di Sergio Mottura o il Montiano della Falesco, a quelli che lo stanno diventando, come il Frascati Superiore Epos Riserva di Poggio Le Volpi, il Cesanese del Piglio Superiore Hernicus di Antonello Coletti Conti, fino alla conferma della qualità dell’intuizione di Antonio Santarelli di Casale del Giglio di scegliere i terreni sabbiosi di Anzio per realizzare un Bellone in purezza come l’Antium.
Ma la domanda che lo stesso Gambero Rosso ha condiviso sui social è: possono bastare un paio di annate climaticamente difficili a giustificare i risultati di questa edizione della guida? O bisogna pensare a un necessario cambio di passo per l'enologia laziale? A parte l'Habemus 2014 e il ritorno del Fiorano Rosso annata 2011, i padri risponderebbero "Nihil sub sole novum" ovvero "Non v'è nulla di veramente nuovo sotto il sole".
Dopo un paio d’anni in cui si era riscontrato un miglioramento e una crescita qualitativa generale della produzione della regione, quest’anno i curatori della guida si sono visti costretti a tornare a considerazioni meno positive. Questo a causa sicuramente di un paio di annate poco favorevoli che hanno coinvolto molti dei vini degustati, ma anche per quella che sembra una fragilità complessiva del comparto. Sono infatti in pochi ad accettare l’idea che l’unica strada percorribile dal Lazio vitivinicolo per arrivare al livello che gli compete è quella della ricerca della qualità, il che significa: ridurre drasticamente le rese in certe annate o addirittura di rinunciare a produrle, anche se a monte di questo, sono ben altri i problemi che ostacolano l'affermazione dei vini del Lazio nel panorama vinicolo del nostro Paese.
Anche se la sequenza di 2014 – con le abbondanti piogge e le grandinate che si sono abbattute in zone fondamentali per l’enologia della regione, come nelle terre del cesanese – e del caldissimo 2015 – partito sotto ottimi auspici ma che alla fine ha prodotto bianchi spesso pesanti, senza la freschezza e la giusta acidità in grado di dare lunghezza e piacevolezza – non ha certo "aiutato" i produttori del Lazio, sembra anche vero che la difficoltà di dare una continuità qualitativa alla produzione sia generale, a parte le solite poche eccezioni.
Una criticità che si è evidenziata soprattutto nella zona dei Castelli Romani e nella denominazione Frascati, ma che ha lasciato il segno anche in altre zone, come il Viterbese o la provincia di Latina, dove non possiamo non constatare come i vini bianchi del 2014, che pure da molti non erano stati considerati all’altezza degli anni precedenti, stiano dando più soddisfazioni degli omologhi del 2015. Non a caso sono solo tre i vini bianchi premiati con i Tre Bicchieri, e questo in una regione bianchista per il 70% della produzione complessiva.
E a proposito dei Tre Bicchieri, vanno segnalate due novità, una assoluta e una relativa. La prima riguarda l’Habemus ‘14 dell’azienda San Giovenale di Emanuele Pangrazi, un vino che ha letteralmente inventato un territorio e creato una nuova referenza sulla carta dei vini del Lazio. La seconda è un graditissimo ritorno, che era già stato realizzato con la versione in bianco: il Fiorano Rosso di Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi. La versione 2011 farà tornare in mente i vecchi Fiorano dello zio Alberico, a chi quei vini ha bevuto e amato.
Per quanto riguarda gli altri vini premiati, andiamo dai classici, come il Poggio della Costa di Sergio Mottura o il Montiano della Falesco, a quelli che lo stanno diventando, come il Frascati Superiore Epos Riserva di Poggio Le Volpi, il Cesanese del Piglio Superiore Hernicus di Antonello Coletti Conti, fino alla conferma della qualità dell’intuizione di Antonio Santarelli di Casale del Giglio di scegliere i terreni sabbiosi di Anzio per realizzare un Bellone in purezza come l’Antium.
I tre bicchieri
Antium Bellone 2015 Casale del Giglio
Cesanese del Piglio Sup. Hernicus 2014 Coletti Conti
Fiorano Rosso 2011 Tenuta di Fiorano
Frascati Sup. Epos Ris. 2015 Poggio Le Volpi
Habemus 2014 San Giovenale
Montiano 2014 Falesco
Poggio della Costa 2015 Sergio Mottura
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